Secondo il Consiglio di Stato le questioni interpretative relative alla potenziale violazione delle libertà economiche europee da parte della normativa italiana, in relazione all'aumento dei canoni del bingo e alla proroga delle concessioni, non sono state pienamente affrontate dalla sentenza della Corte di Giustizia, che dunque viene interpellata nuovamente.
Si chiude così l'ennesimo capitolo del ricorso presentato da due società di bingo contro ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in base a quanto si legge nell'ordinanza della Quarta Sezione del CdS, riunitasi in camera di consiglio il 29 aprile scorso per dirimere la questione.
Il CdS decide quindi di mantenere un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, nonostante una precedente sentenza della stessa Corte, alla luce di alcune questioni interpretative che rimangono sospese. Come si legge nell'ordinanza "la Corte di Giustizia, con la citata decisione del 20 marzo 2025, non sembra prendere in considerazione in modo specifico le questioni interpretative sollevate con i quesiti di cui alle lettere C e B della richiamata ordinanza di rinvio n. 1071/2023."
In particolare le questioni interpretative vertono dunque sui quesiti B e C, legati al quesito A che chiede di determinare "se la normativa nazionale, sopra riportata, viola le libertà europee di stabilimento e di impresa, in quanto: i) determina un aumento del canone che prescinde dalla valutazione delle dimensioni delle imprese; ii) impone l’accettazione della proroga e del suddetto aumento del canone, aggravato dal divieto di cessione dei locali, quale irragionevole condizione per potere partecipare alle successive gare che vengono anch’esse indefinitivamente posticipate."
Questi i testi dei quesiti che, a parere del CdS, rimangono pendenti:
B. Qualora si dia risposta positiva al primo quesito, si dubita che la suddetta restrizione possa ritenersi giustificata per la asserita sussistenza di un motivo imperativo di interesse generale, indicato nell’esigenza di assicurare un allineamento temporale dell’avvio delle procedure di gara.
C. Qualora, nondimeno, si ritenesse che vi sia un motivo imperativo di interesse generale, se ugualmente sono stati violati: i) il principio di proporzionalità, perché la misura restrittiva non è adeguata, idonea e proporzionata in senso stretto all’obiettivo pubblico formalmente indicato; ii) il principio di concorrenza per il mercato, perché la scelta di prorogare le concessioni e di posticipare l’avvio delle gare impedisce agli operatori di settore l’esercizio della libertà di impresa, quantomeno sotto il profilo della necessaria programmazione e pianificazione delle attività”.
Interpellate anche le parti del giudizio, che intendono procedere, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) conferma dunque il proprio interesse al quesito pregiudiziale formulato con l’ordinanza n. 1071/2023 della Sezione e inoltra mandato alla segreteria di trasmettere l'ordinanza alla Corte di Giustizia.