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Minimo mance garantito ai croupier, Cassazione: 'Legittimo calcolo del Casinò di Venezia'

26 maggio 2025 - 11:40

La Corte di cassazione respinge il ricorso che alcuni dipendenti avevano presentato in Cassazione contro i criteri di calcolo del minimo garantito di mance per i croupier del Casinò di Venezia.

Scritto da Amr
foto di Sergio D'Affitto su Wikipedia

foto di Sergio D'Affitto su Wikipedia

“Il dato letterale della clausola negoziale ('milione indiviso di mance') non impedisce di ricostruire il significato secondo cui il minimo garantito ai croupier sia da calcolare con riferimento alla quota di spettanza dei dipendenti (e non dell’intero incasso) e, dall’altra, che il comportamento dei contraenti (nella specie, la condotta del Casinò, la deposizione del teste Moscheni, rappresentante sindacale sottoscrittore dell’accordo, l’inerzia del sindacato anche dopo la segnalazione di errori di quantificazione da parte dei lavoratori) avalla questa interpretazione.”

Con queste parole, con un'ordinanza, la Corte di cassazione ha dato ragione al Casinò di Venezia, respingendo il ricorso che un gruppo di lavoratori avevano presentato, al termine di un lungo iter giudiziario, per “ottenere l'accertamento del diritto a percepire il trattamento economico minimo garantito sulla base di una clausola di contratto collettivo aziendale vigente a partire dal 1990, reiterata nei vari contratti succedutisi nel tempo”.

Come detto, si tratta di un contenzioso che va avanti da decenni, tant'è che molti dei ricorrenti sono oggi rappresentati dai loro eredi. A un punto fermo si era arrivati quando la Cassazione, nel 2020, aveva con sentenza (adottata in sede di  nuovo rinvio)  statuito che “la ratio della clausola del contratto aziendale era quella di assicurare i dipendenti addetti al settore Roulette dal rischio di una riduzione del monte mance pro capite dovuto sia all’aumento di organico determinato dall’apertura di una nuova casa da gioco sia alla diffusione di giochi che non comportavano la riscossione di mance; che l’azienda aveva assunto l’obbligo di garantire la misura percentuale in atto al 31.12.1990, prendendo come parametro il valore di lire 2.790 pro quota per ogni milione indiviso di mancia (valore ottenuto dividendo lire 500.000, quale quota parte di mance destinata al personale, per 179 punti mancia del personale in organico a dicembre 1990, da cui risultava 2.790); ha precisato, quanto al dato letterale della clausola, che non sussiste alcun elemento testuale che non consenta di leggere la frase nel senso di assicurare un 'minimo garantito' 'pro quota per milione indiviso di mancia' e perciò con il significato che il minimo debba essere nel concreto conteggiato con limitato riferimento alla quota dell’importo complessivo di spettanza dei dipendenti, interpretazione confermata dal comportamento delle parti ossia dalla dichiarazione del teste Moscheni (sindacalista sottoscrittore dell’accordo) e dalla condotta delle parti (Casinò e parte sindacale) successiva alla conclusione del contratto”.

Una sentenza cui alcuni lavoratori avevano presentato appello, sempre in Cassazione, un ricorso che verteva sull'interpretazione di una “clausola di contratto collettivo aziendale vigente a partire dal 1990, reiterata nei vari contratti succedutisi nel tempo, che recita: 'Per tutta la durata del presente contratto le mance ai tavoli da gioco sono ripartite tra l'Azienda e il personale nella misura percentuale in atto e cioè: roulette, 30/40, craps e black jack: 50% all'Azienda e 50% al personale; comunque agli aventi diritto del reparto roulette sarà assicurato, da parte dell'Azienda, un minimo garantito di lire 2.790=pro-quota per ogni milione indiviso di mancia, secondo la ripartizione vigente al 31/12/1990, garantendo il rispetto dell'istituto previsto dall'Art. 3 del presente contratto; b) chemin de fer: 54% all'Azienda e 46% al personale'", una clausola che la Cassazione ritiene “ambigua ed equivoca”, ma “la Corte territoriale, espunto dal percorso logico-giuridico il riferimento al documento ritenuto inutilizzabile dalla sentenza rescindente di questa Corte, ha correttamente utilizzato i criteri legali di ermeneutica contrattuale” per interpretarla.

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