Roma – Focus sul disturbo da gioco d'azzardo: strategie integrate per la prevenzione e cura e sulle nuove frontiere tecnologiche e organizzative, nell'evento in agenda a Roma oggi 17 giugno promosso da Novomatic Italia.
Giulia Donadel, professore associato del Dipartimento di scienze cliniche e medicina traslazionale dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, evidenzia: “Il paziente ludopatico, come tutti quelli che hanno una dipendenza, difficilmente va verso il trattamento, ha la consapevolezza del suo male ma uscire da questo loop è difficile per questo il trattamento farmacologico può aiutare il paziente che spesso ha anche delle patologie psichiatriche. Il paziente che va in trattamento è la punta di un iceberg perché i pazienti sono persone che camminano su un cammino sottilissimo tra disturbo e patologia vera e propria.
Il registro degli autoesclusi è stato uno strumento molto efficace che ha permesso a molte persone di tornate indietro, il giocatore lo vede come un’ancora di salvezza ed è senza dubbio un metodo di prevenzione per la ludopatia. è molto importante nell’online mentre nel fisico ha difficoltà ad emergere mentre in Belgio è andato molto bene fino ad ora.
Abbiamo fatto uno studio pilota che ha messo in evidenza la maggior propensione verso il gioco d’azzardo sia tra i 19 e 20 anni e soprattutto maggiore nel genere maschile. Lo studio ha mostrato anche un andamento demografico riflettendo come l’utilizzo di app e cannabis sia uno degli atteggiamenti più comuni di questi soggetti”.
Giovanni Martinotti, professore ordinario di psichiatria dell'Università D'Annunzio di Chieti, dell'Università Unicamillus di Roma e dell'Università Lumsa di Roma, afferma: “Bisogna lavorare sulla prevenzione ed è importante parlare di gioco d’azzardo patologico che è una vera e propria patologia per definire il disturbo. In passato non era considerato un disturbo ma l’ultima definizione è caratterizzata da una serie di punti tipici. Ci sono dei criteri che definiscono la dipendenza tra cui l’irrequietudine, sforzi infruttuosi per smettere di giocare, lo stesso bisogno di giocare, il ritornare a farlo frequentemente.
A questo si associano altri problemi come insonnia, disturbi psichiatrici e nei casi estremi tendenze al suicidio. Quando si parla di gioco bisogna capire che si sono diverse tipologie e ci sono giochi d’azzardo dove c'è la possibilità di rifarsi velocemente o altri leggeri come la lotteria e giochi di abilità, per cui è importante differenziare. Ad esempio c’è il giocatore d’azione o il giocatore per fuga, che appunto fugge da una realtà che non vuole, e abbiamo anche giocatori professionisti non patologici.
Da un punto di vista preventivo si possono usare diverse strategie, in alcuni contesti la riduzione della domanda può essere funzionale come la riduzione della pubblicità del gioco, oppure ridurre i fattori di rischio, oppure cambiare le caratteristiche dei luoghi da gioco. Non ha senso eliminare il gioco in toto, ma bisogno evitare che i pazienti sviluppino quel gambling disorder che abbiamo descritto in breve”.
Raffaella Grisafi, vice presidente Konsumer Italia, sottolinea: “Fare squadra è fondamentale perché permette di aprire una prospettiva su questo mondo che spesso viene trascurato. Si osserva spesso solo l’aspetto patologico ma si trascurano aspetti che permetterebbero di scorgere delle leve di prevenzione e tutela mediante un approccio digitale. Bisogna dunque fare squadra perché serve un senso di responsabilità collettivo.
Quando parliamo di gioco parliamo di un soggetto titolare di diritti ma nella digitalizzazione ci sono altri temi come l’intelligenza artificiale che pongono una questione complessa di tutela del consumatore. Il tema della digitalizzazione deve servire da volano per pensare oggi a come tutelare il giocatore in questo contesto digitalizzato. Una logica di comprensione del sistema ci fa capire anche aspetti idi intervento che spesso vengono trascurati”.
Elisa Zamagni, dirigente piscologo Ss Riccione Ausl Emilia Romagna, spiega: "Lavoriamo per raggiungere diversi obiettivi tra cui quello di ritornare a un gioco controllato. Per raggiungere questi traguardi la nostra Asl è partita dallo studio dei dati: sappiamo che il 3,2 percento dei giocatori sono problematici e l’1,3 percento sono patologici. In realtà i giovani e gli anziani sono quelli maggiormente a rischio, e parliamo di una fetta del 4,5 percento della popolazione. Il problema è che non più del 5 percento dei giocatori patologici ci chiede aiuto. Pertanto con la raccolta dei dati abbiamo cercato di costruire un percorso clinico, un network con la particolarità che abbiamo voluto coinvolgere anche gli esercenti"..
Giorgia Bondi, psicoterapeuta SerDp Rimini e referente Ausl Romagna prevenzione dipendenze, porta la propria esperienza professionale: “Ci siamo chiesti, insieme agli enti locali e nell’ambito della gestione del problema, cosa si poteva fare come sforzo per andare verso i cittadini e soprattutto verso quella fetta di essi che pur scivolando verso il gioco patologico non riusciva a chiedere aiuto. La scommessa è stata di aprire delle nostre sale gioco, che chiamiamo case ludiche, che svelano il gioco. Mi piace pensare che questi possono essere poli, luoghi di prevenzione che si rivolgono soprattutto ai giovani e alle famiglie. Le nostre case ludiche sono 'onlife' e gli operatori cercano di avere una relazione di prossimità con il territorio e tutti i target promuovendo attività di prevenzione e informazione. Abbiamo anche implementato degli sportelli dove i cittadini possono rivolgersi in anonimato per portare una domanda. Abbiamo aperto anche lo sportello relazioni digitali che si pone come aiuto alle famiglie, dall’uso consapevole del digitale. La prevenzione inizia così molto presto”.