Con un'ordinanza, il Tar del Lazio dichiara “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2, del decreto legge 12 luglio 2018 n. 87, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96” per “per contrasto con l’art. 3 Cost. - in combinato disposto con l’art. 42 Cost. -, con l’art. 117, primo comma, Cost. - in relazione agli artt. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e 1 del relativo Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione - e con gli artt. 17 e 49, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - quali parametri interposti rispetto agli artt. 11 e 117, comma 1, Cost”. Sarà dunque la Corte costituzionale a decidere se la norma del decreto Dignità in materia di divieto di pubblicità “nella parte in cui non si riconosce alcuna discrezionalità all’autorità nella determinazione del quantum sanzionatorio”, sia o meno legittima.
Nel frattempo, il Tar ha sospeso il giudizio in merito al ricorso che era stato presentato da un operatore contro la sanzione da 157mila euro irrogatagli dall'Autorità garante per le comunicazioni dopo che la stessa aveva ha “ravvisato una condotta rilevante ai fini dell’irrogazione della predetta sanzione nei video pubblicati sulle piattaforme YouTube e Twitch, atti a pubblicizzare il gioco d’azzardo mediante la riproduzione di sessioni di gioco, accompagnate da banner pubblicitari a comparsa che reindirizzavano gli utenti verso siti online di giochi e scommesse con vincite in denaro”.
Nel disporre il rinvio degli atti alla Corte costituzionale, il Tar sottolinea che “le sanzioni amministrative a carattere punitivo”, pur qualificandosi formalmente come misure amministrative, condividono con le pene in senso stretto non solo il contenuto afflittivo, ma soprattutto la causa giuridica che ne giustifica l’imposizione: entrambe costituiscono una reazione ordinamentale a una condotta illecita, cui si ricollega, in via diretta, l’imposizione di una restrizione o di un sacrificio a carico del trasgressore. In altre parole, l’effetto lesivo prodotto da queste misure non è, come accade nei comuni provvedimenti amministrativi, una conseguenza indiretta della realizzazione di un interesse pubblico specifico, bensì il risultato primario perseguito con l’irrogazione della sanzione.
Proprio in considerazione di tale natura sostanzialmente punitiva, le sanzioni amministrative devono essere sottoposte – al pari delle pene – al vaglio di proporzionalità, che impone il rispetto di un rapporto di congruità tra gravità dell’illecito e severità della sanzione, in assenza del quale verrebbe meno la giustificazione stessa della compressione dei diritti del trasgressore”.
Nel caso specifico, “la disposizione in esame si inserisce in un più ampio disegno normativo inteso a contrastare i rischi connessi alla crescente diffusione della ludopatia, con particolare attenzione all’incidenza della dimensione digitale del fenomeno.
L’avvento delle tecnologie digitali, l’espansione dell’offerta tramite piattaforme online e la disponibilità costante di strumenti di accesso come smartphone e tablet hanno provocato un mutamento strutturale delle modalità di fruizione del gioco, amplificandone esponenzialmente la pervasività e l’accessibilità. In particolare, la dimensione virtuale del gioco online, caratterizzata da anonimato, assenza di barriere spaziali e temporali e accesso illimitato e continuo, attenua la percezione del rischio e favorisce condotte compulsive. Inoltre, la struttura stessa delle interfacce digitali è spesso progettata per massimizzare il coinvolgimento emotivo e stimolare la reiterazione del comportamento di gioco. Tali caratteristiche hanno reso il gioco online – rispetto alle forme tradizionali – più invasivo e insidioso”.
In questo quadro “si inscrive l’introduzione del divieto generalizzato della pubblicità di giochi e scommesse con vincite in denaro, che è stato accompagnato da una sanzione amministrativa pecuniaria di particolare severità (pari al venti per cento del valore della sponsorizzazione o pubblicità, e comunque non inferiore a 50.000,00 euro), quale misura volta ad arginare un fenomeno ormai allarmante sotto il profilo sanitario e sociale.
E tuttavia, pur riconoscendo l’alto rango costituzionale del bene giuridico tutelato dalla disposizione - quale è la salute pubblica, che rappresenta un interesse fondamentale della collettività e un valore primario dell’ordinamento - il Collegio dubita della tenuta costituzionale del meccanismo sanzionatorio delineato dalla norma”.
Di recente, ricorda il Tar, “la Corte costituzionale, con la sentenza n. 185 del 2021, ha affrontato la questione delle pene di importo fisso, dichiarando l’illegittimità costituzionale della sanzione rigida di 50.000,00 euro prevista dall’art. 7, comma 6, secondo periodo, del decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, che puniva l’omessa affissione nelle sale da gioco di una targa contenente un avvertimento sui rischi della ludopatia. In particolare, la Corte si è soffermata sul principio di necessaria individualizzazione della pena, che si oppone alla previsione di sanzioni pecuniarie di considerevole severità e, al tempo stesso, fisse nel loro ammontare, dunque non suscettibili 'di graduazione da parte dell’autorità amministrativa, e del giudice poi, in correlazione alle specifiche circostanze del caso concreto secondo i criteri indicati dall’art. 11 della legge 24 novembre -OMISSIS-81, n. 689”. Secondo la Corte, previsioni punitive rigide non appaiono in linea con il 'volto costituzionale' del sistema sanzionatorio”.
E dunque, “il meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 9 del decreto dignità, pur non imponendo una sanzione unica e fissa, solleva analoghe criticità sotto il profilo della proporzionalità e dell’individualizzazione della pena.
Infatti, dopo aver previsto l’irrogazione di una sanzione pecuniaria stabilita nella misura proporzionale del 20 per cento del valore dei ricavi, l’art. 9, comma 2, del decreto dignità prosegue precisando che l’importo della sanzione non possa comunque essere inferiore a 50.000,00 euro per ogni violazione. La norma configura dunque un meccanismo sanzionatorio che combina una componente proporzionale con una soglia minima inderogabile, connotata da eccezionale severità, che segna il confine al di sotto del quale né l’autorità amministrativa né il giudice possono scendere.
Tale soglia, seppur inserita in un sistema formalmente flessibile, introduce una componente di fissità che finisce per neutralizzare la funzione calibratrice della componente proporzionale e per comprimere i margini di discrezionalità dell’amministrazione nella commisurazione della pena, conducendo, nella prassi applicativa, a risultati sanzionatori palesemente eccedenti il limite della proporzionalità rispetto all’illecito commesso”.
Nel caso di specie, “la rigidità della soglia minima di 50.000,00 euro prevista dall’art. 9, comma 2, del decreto legge n. 87 del 2018, sebbene non comporti una risposta sanzionatoria fissa, determina di fatto una sostanziale omologazione delle fattispecie di minor rilievo, impedendo di cogliere quelle circostanze concrete che denotano l’effettiva tenuità dell’illecito – desumibile ad esempio dal mezzo di diffusione utilizzato, dal contenuto e dal tono della pubblicità, dall’efficacia persuasiva del messaggio, dal coefficiente di diffusione dei contenuti pubblicitari, dall’intensità dell’elemento soggettivo e dal carattere isolato delle condotte – ma anche di tenere conto della struttura economica e giuridica dell’autore dell’illecito”.
La norma, inoltre, “arretra la soglia di punibilità, ancorandola al solo pericolo astratto per la salute pubblica: non è richiesto né l’accertamento del danno, legato all’effettivo insorgere di fenomeni patologici legati alla ludopatia, né - ancor più a monte - che il messaggio abbia concretamente influenzato, sul piano causale, la scelta di almeno un soggetto di avvicinarsi o accedere al gioco d’azzardo. Ciò comporta un sensibile ampliamento delle condotte suscettibili di sanzione, spesso caratterizzate da differenti gradi di aggressione al bene giuridico tutelato, con il rischio che anche comportamenti limitatamente offensivi, connotati da un pericolo remoto o di modesta intensità, vengano colpiti con un’identica sanzione, non inferiore a 50.000,00 euro”.