Nel territorio comunale di Cattolica (Rn) è praticamente impossibile aprire nuove attività di gioco o delocalizzarle rispettando la normativa vigente in materia.
È la conclusione a cui giunge il Consiglio di Stato nella sentenza con cui accoglie l'appello di una società contro la chiusura di una sala giochi da essa gestita da parte del Comune di Cattolica, per la vicinanza con una chiesa, e, per l'effetto, dispone l'annullamento dei provvedimenti impugnati.
La decisione dei giudici di Palazzo Spada arriva dopo l'esame della verificazione - affidata al Politecnico di Milano - dell'effetto espulsivo per il gioco della “disciplina urbanistica vigente nel territorio del Comune di Cattolica, nonché della complessiva disciplina relativa all’insediamento delle attività di sala giochi e sala scommesse, ivi compresa la normativa sulle distanze dai luoghi sensibili”.
Stando alla perizia depositata dal verificatore, si legge nella sentenza del Consiglio di Stato, “l’applicazione della distanza di 500 metri (buffer) dai siti sensibili individuati dall’Amministrazione comunale di Cattolica comprime in maniera significativa le possibilità e le alternative localizzative delle funzioni del gioco d’azzardo lecito ove valutate in rapporto alle possibilità di localizzazione urbanistica offerte dalla strumentazione urbanistica vigente (Psc-Rue), sia rispetto alle dimensioni del territorio urbanizzato e urbanizzabile (446,59 ha), sia del territorio comunale (6.200 ha); tale compressione è tanto materialmente rilevante al punto di privare la Società di un concreto, serio interesse, produttivamente apprezzabile, all’insediamento dell’attività nell’ambito del territorio”.
Inoltre, “gli esiti della verificazione hanno fatto emergere, infatti, una fattibilità di delocalizzazione che, se pure in assoluto non del tutto compromessa (circostanza, questa, su cui fa leva la Regione nella sua memoria del 17 aprile 2025 laddove, nel richiamare taluni precedenti della Sezione, invoca la legittimità di una delocalizzazione con effetti anche bassi), si mostra, nella peculiarità del caso e con riferimento specifico alla situazione presa in esame nel presente giudizio, in realtà solo apparente o formale poiché in concreto di altamente di difficile attuazione, tale appunto da indurre al ragionevole sospetto che si tratti di una parvenza di delocalizzazione.
Infatti, se dalle aree astrattamente insediabili in quanto esterne ai buffer di salvaguardia dei luoghi sensibili (39,4 ha, pari allo 0,64 percento del territorio comunale), si escludono/sottraggono gli ambiti urbanizzati all’interno dei quali non è consentito l’Uso U17, nonché gli ambiti all'interno dei quali l’Uso U17 è consentito, ma limitatamente agli edifici ove siano legittimamente in essere o nell'ambito di interventi specificatamente previsti nel Poc, le aree potenzialmente ospitali le funzioni del gioco d’azzardo lecito all’interno delle quali con intervento diretto è possibile insediare l’Uso U17 ammontano a circa 0,25 ha (2.500 mq), pari allo 0,004 percento del territorio comunale.
Si tratta di una disponibilità urbanistica talmente esigua di aree che rende se non impossibile altamente improbabile la localizzazione e/o de-localizzazione delle funzioni del gioco d’azzardo lecito”, campeggia nella sentenza.
“E invero, utilizzando il metodo di stima delle distanze pedonali di 500 metri (misurazione informatica) che intercorrono dai luoghi sensibili alle zone urbanistiche all’interno delle quali le norme urbanistiche (Rue) consentono l’insediamento dell’U17 con un titolo abilitativo diretto (ammissibilità urbanistica), le aree potenzialmente ospitali le attività del gioco d’azzardo lecito ammontano a circa 1,28 ha (12.800 mq), pari allo 0,02 percento del territorio comunale. Il Collegio ritiene che si tratti di una percentuale così esigua di aree che rende in realtà pressoché irrealizzabile la delocalizzazione dell’attività”.
Ancora un passaggio importante evidenziato dai giudici di Palazzo Spada: “Il punto critico, che il Collegio coglie, riposa sulla circostanza che la questione controversa attiene, piuttosto, agli effetti delle misure adottate dal Comune e all’idoneità di queste a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l’ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi”.
E infine: “Va, pertanto, apprezzato l’accertamento del verificatore secondo cui la ri-collocazione nel territorio del Comune di Cattolica è stata di fatto resa impossibile - tale cioè da rendere in concreto inesigibile la delocalizzazione - dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione.
Risultano, infatti, precisi limiti urbanistico-edilizio impeditivi del trasferimento.
A ciò si aggiunga che la Società appellante ha fornito sufficienti elementi di prova dell’impossibilità di reperimento di edifici idonei all’installazione della propria attività nell’intero territorio comunale laddove avrebbe dovuto spostare la propria attività, in un altro Comune.
A quest’ultimo proposito, il Collegio non condivide l’assunto per cui la facoltà di delocalizzare l’attività in essere sarebbe, di fatto, assicurata con la possibilità di trasferire l’attività in parola in un altro Comune.
L’esigenza e la finalità di consentire la prosecuzione dell’impresa (quale interesse secondario da coniugare, in termini di minor sacrificio possibile, con l’interesse pubblico principale) postula la possibilità che l’attività venga esercitata in un luogo idoneo a sufficiente distanza dai luoghi sensibili, ma comunque nell’ambito dello stesso Comune”.